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Se «le tracce d’uso possono dirci come i manufatti siano stati utilizzati dagli esseri umani» (Stoddard), allo stesso modo le glosse manoscritte forniscono preziose informazioni su come i testi antichi sono stati letti e interpretati. In particolare, i segni lasciati dai fruitori cinquecenteschi dei primi manuali di grammatica italiana potranno introdurci ai loro dubbi grammaticali, ai loro metodi di apprendimento e ai loro usi linguistici, e ci permetteranno di aggiungere alcuni tasselli alla nostra conoscenza della storia della nostra lingua. La ricerca si concentra su due monumenti della storia grammaticale italiana, le Regole di Fortunio e le Prose di Bembo, da cui è partita la grande riflessione linguistica del XVI secolo. In questo libro viene infatti esaminata una selezione di documenti composta dalle due principes e da tutte le edizioni anteriori al 1550, incluse le stampe delle Regole successive alla morte di Fortunio e le versioni contraffatte o non autorizzate delle Prose. L’analisi di tale corpus permette non solo di comprendere meglio alcuni aspetti relativi alla funzione, all’ubicazione e alla tipologia grafica delle glosse ai testi a stampa, per le quali viene tra l’altro formulata una nuova proposta tassonomica. Più in generale, attraverso la medesima analisi si perviene a delle informazioni che consentono di delineare i profili linguistici, culturali e sociali dei lettori delle prime grammatiche del volgare.